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Ozpetek delude, fuori concorso va un po' meglio

di Boris Sollazzo

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30 AGOSTO 2008

L’Italia sta per calare il poker, e intanto comincia con una coppia di re. Oggi Ferzan Ozpetek e domani Pupi Avati saranno al Lido come aspiranti a un Leone che finora vede concorrenti facili da sbaragliare e alcuni film improbabili. Tra questi, purtroppo, però c’è anche Ferzan, molto deludente: alla proiezione stampa tiepidi e radi applausi subito seguiti da qualche fischio più convinto. Piace invece Claire Denis con 35 Rhums. Fuori concorso, racconta lo spaccato di vita di un padre e una figlia. Intimista, forse persino troppo, ma delicato e gentile. Infine la chicca satir-horror del mitico Jose Mojica Marins, Encarnação do Demonio, brillante esempio di libertà visiva e visionaria e di citazionismo di genere colto e raffinato.

Un giorno perfetto- Concorso
E’ Ferzan Ozpetek, cineasta italo-turco sensibile e portato al socio-melodramma d’alto livello- soprattutto agli esordi- ad aprire il quartetto di italiani in concorso. Purtroppo neanche con lui la maledizione sul cinema italiano, a Venezia, sembra scomparire: dopo il bagno di sangue dello scorso anno, delude tantissimo anche l’affermato regista, nonostante il discreto punto di partenza (il buon romanzo omonimo di Melania Mazzucco) e l’interruzione della collaborazione alla scrittura con Gianni Romoli, rapporto che artisticamente sembrava mostrare una certa sofferenza. La penna l’ha presa direttamente lui, coadiuvato da Sandro Petraglia, uno dei migliori sceneggiatori italiani. Non è servito, Ferzan è sempre chiuso dentro se stesso, in fase discendente dopo i suoi ottimi inizi, alla ricerca di un linguaggio che piomba sempre più nella banalità, nella ripetizione e nel macchiettistico, perdendo quel leggero e malinconico acume che lo contraddistingueva. L’amore disperato di Emma e Antonio (Isabella Ferrari e Valerio Mastandrea) viene colto nell’arco di 24 ore cruciali e drammatiche, un racconto che coinvolge anche altre famiglie e individualità: un onorevole corrotto in campagna elettorale (Valerio Binasco), la sua bella e troppo giovane moglie (Nicole Grimaudo) e i loro figli, una maestra dolce e malinconica, una nonna chiacchierona e rompiscatole. Un Crash all’italiana, fatto di spunti emotivi e violenti, di dolori lancinanti e assenze atroci. Sulla carta, un film potente e pericoloso. Di fatto un papocchio in cui si stenta ad andare oltre la superficie (ci riesce, in qualche sguardo, Mastandrea), i personaggi si perdono, sono solo accennati o approfonditi male, enfatizzati da ogni inquadratura, parola, persino dalla musica invadente. Perde, Ozpetek, persino la capacità di dirigere gli attori- nel non riuscito Saturno Contro, per esempio, l’ottimo ensemble di interpreti salvavano il salvabile- ha solo qualche intuizione visiva e narrativa (il dialogo pieno di disprezzo tra l’onorevole e l’assistente, l’ottimo Ivan Bacchi, il lungo finale rovinato solo a metà), ma sembra davvero che il regista non riesca a staccarsi da se stesso, dai suoi luoghi, geografici e dell’anima, citandosi e mordendosi la coda senza cercare altro e oltre. Che peccato.

35 Rhums- Fuori Concorso
Claire Denis ritorna in laguna dopo L’intrus, opera impegnativa e molto imperfetta. Lo fa con una storia di affetti speciali, un film rivoluzionario, perché naturalmente nero (nel senso del colore della pelle del 99% dei personaggi), figlio di una Parigi meticcia e precaria. Il centro è il rapporto strettissimo e tenero tra un padre e una figlia, fatto di gesti più che di parole. Un racconto di semplice intimità che contagia, con ruvida dolcezza, anche coloro che gli orbitano intorno. Dal fragile Noè al depresso pensionato Renè, passando per la paziente Gabrielle. Pezzi di vita e delle sue debolezze che si disegnano sui visi bellissimi ed espressivi dei due protagonisti, l’intenso Alex Descas (un affascinante incrocio tra Danny Glover e Samuel L. Jackson) e la stupenda Mati Diop. Claire Denis, cercando la semplicità stilistica, narrativa ed emotiva, attraverso i dettaglio etici ed estetici. Così la regia accarezza persone e storie, fissandosi su dei particolari (mani e guanti, i binari della metropolitana guidata dal protagonista, sguardi e soprattutto abbracci) che restituiscono l’insieme, prendendosi i suoi tempi, con coraggio. Un film che riempie il cuore e gli occhi, senza strafare né tirarsi indietro.

Encarnação do Demonio- Fuori concorso
Sua maestà Josè Moijca Marins è tornato, e Venezia lo accoglie con fanatico affetto. Il re dell’horror brasiliano (fu lui a scrivere, dirigere e interpretare il primo film di tal genere 45 anni fa, A mezzanotte prenderò la tua anima, 1963), forse lo conoscete meglio come Ze de Caixao, suo pseudonimo e di fatto alter ego. Non a caso saluta una Sala Grande adorante con il mantello nero, il cilindro e persino un’unghia lunga decine di centimetri, marchio inconfondibile del personaggio che lo ha reso celebre e che nel 2001 gli è valso anche un documentario. Attore e interprete, a lungo lontano dalle scene, chiude la trilogia iniziata nel 1963 (e proseguita con Questa notte mi incarnerò nel tuo cadavere, 1967) riportando il suo becchino alla ribalta: esce di galera e diventa icona vivente. Non risparmia nulla al pubblico: dal gore più selvaggio- tra cui amplessi bestiali e sesso letale- a un’iconoclastia senza esclusione di colpi, che colpisce religione e istituzioni con la stessa feroce irriverenza. All’interno, questo genio visionario, inserisce citazioni e riferimenti innumerevoli, senza stancare e con un linguaggio incredibilmente moderno che salta dalla filosofia ad Orson Welles, da Guy Debord a tutto il meglio del cinema horror. L’eternità del sangue e dell’immagine sono la sua ossessione, il sesso un gioco folle e orgiastico con cui cercare la prole perfetta. Perverso e diabolico e divertentissimo, fuori e dentro lo schermo.

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